La guerra in Ucraina, ma ovviamente anche la crisi energetica dell’ultimo anno, sta costringendo l’Italia a ridisegnare tutta la sua politica energetica, e questo vuol dire che dovremo realizzare una serie di nuove infrastrutture di lavorazione e stoccaggio del gas. Dovremo modificare pesantemente, insomma, la rete che abbiamo costruito nel corso di decenni.
La partnership con la Russia, o meglio con l’allora Unione Sovietica, risale addirittura al secondo dopoguerra e fino a pochi mesi fa Mosca è stata il nostro principale fornitore. Adesso ha perso questa posizione – attualmente dipendiamo in buona parte dall’Algeria, le cui importazioni a ottobre sono aumentate del 12%, mentre quelle russe sono crollate del 56%. A breve oltretutto potremmo essere costretti a fronteggiare uno scenario ben peggiore: Mosca infatti minaccia da mesi di interrompere completamente i flussi.
Il passaggio dal gas naturale al GNL
Purtroppo però non basta trovare nuovi fornitori, perché la Russia importava gas naturale, mentre spesso dagli altri Paesi acquistiamo GNL. A livello chimico non c’è molta differenza, entrambi sono miscele di gas, ma per la maggior parte – oltre il 90% – sono costituiti da metano. La differenza è nel modo in cui vengono trasportati.
Il gas naturale è quello che arriva attraverso i vari gasdotti, è in forma gassosa e può essere immesso nelle reti distributive praticamente senza ulteriori lavorazioni. Il GNL invece viene trasportato con le navi metanifere. La sigla sta per gas naturale liquefatto, e viene portato allo stadio liquido perché alla temperatura di -162 gradi il suo volume si riduce infatti di circa 600 volte, di conseguenza le navi possono stoccare quantitativi maggiori. Una volta giunto a destinazione tuttavia il GNL deve essere rigassificato prima di essere immesso nella rete distributiva.
Secondo l’ultimo bilancio del MiSE, nel 2021 abbiamo importato complessivamente dall’estero 72,7 miliardi di metri cubi standard di gas e la maggior parte era gas naturale. La quota di GNL era invece residuale: appena 9,8 miliardi di metri cubi. Ma questo vuol dire anche che finora non abbiamo avuto alcuna necessità di costruire dei rigassificatori.
L’importanza dei rigassificatori
L’Italia al momento dispone di tre rigassificatori. Il primo venne costruito a Panigaglia, in Liguria nel 1971 e per quasi quarant’anni è stato l’unico stabilimento di questo tipo. Si tratta di un rigassificatore on-shore – quindi sorge sulla terraferma – è di proprietà Snam, e ha una capacità di immettere in rete un massimo di 3,5 miliardi di metri cubi di gas l’anno.
Occorre attendere il 2009, infatti, per l’arrivo dell’Adriatic LNG di Porto Levante, frazione di Porto Viro a Rovigo. A gestirlo è una joint venture composta da Exxon mobil, Qatar Petroleum e Snam. In questo caso, si tratta di una struttura off-shore, anzi di una vera e propria isola artificiale, e lavora i rifornimenti che provengono dal Qatar ma anche da Egitto, Trinidad e Tobago, Guinea Equatoriale e Norvegia. Può arrivare a immettere in rete 8 miliardi di metri cubi di gas l’anno.
Infine, al largo di Livorno c’è l’Olt, anche questo è un rigassificatore galleggiante in grado di contribuire con 3,75 miliardi di metri cubi di gas l’anno. Si tratta della struttura più recente, nata dalla conversione della nave metaniera Golar Frost. Questo impianto è partecipato al 49,07% da Snam, al 48,24% dal fondo australiano First Sentier Investors, e al 2,69% è della società Golar Lng.
In totale queste strutture riescono a lavorare poco più di 15 miliardi di metri cubi l’anno, per questo il governo si sta affrettando a realizzare nuove strutture. Sul tavolo ci sono diversi progetti, se tutti venissero portati a termine disporremmo di ben dieci nuovi rigassificatori.
I nuovi progetti
Si tratta di impianti a terra di grandi dimensioni sul modello di quelli di Barcellona e Marsiglia. In particolare, due impianti risultano già autorizzati. Il primo dovrebbe sorgere a Porto
Empedocle, in Sicilia, proposto da Nuove Energie, mentre il secondo è previsto a Gioia Tauro, in Calabria, su progetto di LNG MedGas Terminal. La capacità di rigassificazione di ciascun impianto sarà tra gli 8 e i 12 miliardi di metri cubi l’anno; per entrambi, però, sono necessari almeno tre anni. Si tratta di impianti che possono offrire servizi di small scale LNG sia lato mare (navi a GNL) sia lato terra (camion a GNL).
Allo studio anche diversi progetti per i rigassificatori galleggianti. Quelli in stadio più avanzato sono le navi che verranno ormeggiate al largo di Ravenna e Piombino (Livorno). Nel caso di Ravenna è già presente la nave, la BW Singapore, acquistata da Snam a luglio e con capacità di 5 miliardi di metri cubi. Situazione più complessa a Piombino, dove la nave Golar Tundra dovrebbe restare in porto per tre anni, con impatti sull’ecosistema marino non ancora chiari, e più volte messi in discussione dalla cittadinanza. Ma si lavora anche a una serie di progetti in Sardegna, come il rigassificatore gestito da Edison a Oristano, e quelli di Portovesme (Carbonia Iglesias) e Porto Torres (Sassari).
L’Italia vuole potenziare anche i gasdotti
Chiaramente, il nostro Paese non abbandonerà il gas naturale, anzi sta lavorando anche per aumentare la portata dei gasdotti. In Sicilia, più di preciso a Mazara del Vallo, arriva il Transmed, che collega l’Algeria all’Italia, con la Tunisia che fa da tramite. Gli accordi firmati ad aprile e maggio aumenteranno le forniture gradualmente già a partire dal 2022. Per il 2023/24, Eni stima che la portata arriverà a 9 miliardi di metri cubi l’anno.
A Gela arriva l’altro gasdotto proveniente dal continente africano, il Greenstream, che trasporta gas dalla Libia. Si tratta del gasdotto più lungo del Mar Mediterraneo. Infine a Melendugno, c’è il Trans Adriatic Pipeline, che trasporta il gas dell’Azerbaijan verso il Nord Europa. A Passo Gries arriva il gas che arriva dai giacimenti del mar del Nord, tramite Transitgas, il gasdotto proveniente da Norvegia e Olanda. Resta invece da capire cosa ne sarà in futuro dei gasdotti che che collegano la nostra rete ai pozzi russi. Ce ne sono due, quello di Tarvisio in Friuli, che è allacciato al Trans Austria Gas, e quello di Gorizia che invece passa attraverso la Slovenia. Dipendiamo invece solo in minima parte dal Nord Stream, la pipeline che all’inizio dell’autunno ha subito un sabotaggio.