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Come la transizione energetica trasformerà il bunkeraggio navale

Anche il trasporto marittimo viene chiamato a fare la propria parte per favorire la transizione ecologica. In questo processo verranno coinvolti non solo i cantieri navali e le imprese che producono i motori marini, ma anche tutta una serie di altri soggetti. A iniziare dai depositi costieri che riforniscono le navi, il cosiddetto bunkeraggio navale, che nel giro di poco tempo dovrà adeguarsi a un mercato profondamente diverso da quello attuale. E dovrà fornire una gamma molto più ampia di carburanti.

Bunkeraggio: come cambieranno i Combustibili

Attualmente le navi vengono alimentate con due tipi di combustibile, gli olii pesanti e il gasolio marino. In buona sostanza le petroliere, le porta-container e le navi di dimensioni maggiori usano nafta pesante. Quelle di piccole e medie dimensioni (quindi dalle barche da diporto fino a ai traghetti di medie dimensioni) invece utilizzano gasolio marino. Nei prossimi anni questi due combustibili verranno progressivamente sostituiti da altri vettori che hanno un minore impatto ambientale. Le navi useranno biocarburanti, Gnl e Gpl, forse addirittura candeggina e prima o poi l’idrogeno. I combustibili in uso potrebbero essere addirittura una decina. Chi effettua il bunkeraggio dovrà pertanto convertire i depositi e gli impianti. Sia gli impianti che si trovano sulle banchine – e che servono a fare il pieno ai natanti più piccoli – sia le bettoline, ovvero i rimorchiatori che riforniscono direttamente in mare le navi maggiori.

Bunkeraggio: La transizione per le navi non si fa dall’oggi al domani

Occorre procedere con un certo realismo, nel caso del trasporto navale infatti, tutti i processi sono ancor più complessi che in altri settori. Tanto per iniziare, è impossibile rendere green in tempi brevi l’intera flotta di navi che solcano i mari del mondo. Oltretutto, tutte queste navi richiederebbero dei quantitativi di carburanti ecologici che al momento non siamo in grado di produrre. In ogni caso, per rifornire i loro serbatoi, sarebbe necessario lasciare a secco altri mezzi di trasporto.

E soprattutto, occorre partire da una considerazione di fondo: le navi hanno un impatto sull’ambiente di gran inferiore a quello degli altri mezzi di trasporto. Secondo le stime dell’UE, lo shipping causa circa l’11% delle emissioni di CO2 generate dal settore dei trasporti, e il 3-4% delle emissioni complessive. In altre parole, se si penalizzano troppo le vie del mare, il traffico si sposta su altri mezzi che inquinano di più.

Chi decide le regole sul taglio delle emissioni

Nel FitFor55, l’UE ha annunciato che sarà necessario intervenire anche sul trasporto marittimo. I dettagli vengono fissati con il FuelEU Maritime. L’accordo al momento è ancora provvisorio, ma prevede un taglio delle emissioni dell’80% entro il 2050. Il punto chiave è la decisione di utilizzare combustibili meno inquinanti anche in questo settore. Ma gli armatori potranno mantenere in vita le navi non a norma, se ne compensano le emissioni utilizzandone delle altre virtuose.

Il problema principale è che questo provvedimento varrà per la sola Unione, e quindi si applicherà solo all’interno delle acque territoriali dei Paesi membri. Rischia di non produrre alcun beneficio reale per l’ambiente se poi nei porti turchi, dell’Africa del Nord, o della Gran Bretagna, vigono tutte altre regole.

Ci sono però delle convenzioni e degli accordi che si applicano anche a livello internazionale. A iniziare dalla Marpol 73/78 che ad esempio dal 2020 vieta l’uso di combustibili con tenore di zolfo superiore allo 0,5%. Inoltre, si sta muovendo anche l’IMO, l’Organizzazione Marittima Internazionale legata all’ONU. Attualmente punta a dimezzare entro il 2050 le emissioni del settore, prendendo come riferimento i livelli del 2008. La strategia verrà rivista nei prossimi mesi, l’organismo sembra propenso a introdurre un sistema di pagamento per le emissioni simile a quello di stampo comunitario.

Il passaggio verso combustibili green sarà graduale

Gli enti e i soggetti che puntano a tagliare le emissioni devono fare i conti con un fattore essenziale. Secondo le stime, sostituire tutta la flotta di navi che oggi esiste al mondo richiederebbe almeno un secolo. Ed è addirittura una previsione ottimistica, basata sui regimi produttivi che si sono raggiunti un decennio fa. A quelli attuali il tempo necessario sarebbe ancora maggiore. E purtroppo è molto complicato anche intervenire sui soli motori.

Nella maggior parte delle imbarcazioni, il motore occupa i ponti inferiori. Letteralmente lo scafo viene costruito intorno al propulsore. Inoltre è necessario sostituire anche i serbatoi, e quelli per i nuovi combustibili solitamente hanno dimensioni maggiori degli originali. I carburanti green infatti occupano più spazio, o hanno una resa energetica inferiore. Questo non vuol dire che sia impossibile sostituire il motore di una nave, tecnicamente si può fare. Ma occorre sventrare lo scafo e riassemblarlo. E  in alcuni casi è addirittura necessario aumentare la lunghezza della nave.

Le soluzioni su cui si sta lavorando

I cantieri navali hanno comunque messo a punto delle soluzioni alternative per ridurre le emissioni. Per le navi di maggiori dimensioni, ad esempio, esistono gli scrubber. In italiano si chiamano “torri di lavaggio”, un nome che ne descrive perfettamente la funzione. Sono infatti dei grandi filtri che vengono montati sui fumaioli, e abbattono la concentrazione delle sostanza inquinanti, come gli ossidi di azoto, di zolfo e i gas clorati. Sul fronte dei carburanti, invece, sono state raffinate delle nafte a basso contenuto di zolfo, le cosiddette VLSO.

Come cambierà il bunkeraggio

Tutto questo fa sì che, di qui al 2050, il trasporto navale potrebbe utilizzare anche una decina di combustibili differenti. Accanto alle navi di vecchia concezione, avremo infatti quelle convertite, e quelle di nuova generazione. Con il passare del tempo, saranno sempre più diffusi combustibili come il bio-Gnl, i gasoli ecologici (come il Fame e l’HVO), l’etanolo e il metanolo. E, quando i costi di produzione saranno sostenibili, arriverà anche l’idrogeno.

Chiaramente, il singolo porto non sarà in grado di rifornire qualunque tipo di nave, per forza di cose si dovrà specializzare su uno o due vettori. Al di là di questo, i depositi costieri di carburante che effettuano il bunkeraggio dovranno adeguare le proprie infrastrutture. Dovranno istallare serbatoi differenti e modificare le bettoline, e anche convertire le raffinerie, o creare le nuove reti che alimentino i depositi. Questo discorso vale soprattutto per il bio-Gnl, per il metanolo e per l’etanolo. Per alcuni di questi vettori, inoltre, sarà necessario intervenire anche a livello normativo, perché devono ancora essere fissate le regole che i depositi costieri dovranno rispettare.

La questione dell’HVO

Un discorso a parte merita l’HVO, il diesel di origine vegetale che probabilmente verrà utilizzato dalla maggior parte dei motori già in circolazione, soprattutto se miscelato al combustibile fossile. Anche qui si attendono novità dal punto di vista normativo, l’UE deve infatti rivedere le percentuali di miscelazione.

Questo vettore è lo stesso che già viene utilizzato – miscelato al fossile – per alimentare le auto. Sarà quindi necessario trovare un equilibrio tra i diversi settori dei trasporti, visto che la produzione di carburanti bio è ancora limitata. Se con il sistema dei CIC – certificati immissione in consumo – si incentiva troppo l’utilizzo di questo carburante per il trasporto navale, si rischia di dirottare qui tutta la produzione. E di lasciare a secco altri settori, a iniziare dall’autotrasporto. In termini ambientali, vuol dire che i vantaggi che si otterranno in un settore, impediranno agli altri di raggiungere gli obiettivi.